I prodotti senza glutine migliorano la qualità della vita e la varietà in cucina per i celiaci, ma da un punto di vista nutrizionale sono validi? La parola all’esperta

Oltre ai prodotti naturalmente senza glutine come riso, patate e mais, per i celiaci la varietà di prodotti appositamente realizzati senza glutine, detti gluten free, è sempre più vasta: pasta, pane, gnocchi, torte e biscotti. Ma siamo sicuri che questi alimenti non presentino un alterato equilibrio nutrizionale rispetto ai prodotti senza glutine? L’apporto di micronutrienti come vitamine e sali minerali è garantito? Ne parliamo con la dottoressa Susanna Neuhold, Responsabile Nazionale Area Food dell’Associazione Italiana Celiachia.

 

COSA CONTENGONO?

Gli alimenti gluten free devono sostituire la farina di frumento che contiene il glutine, complesso proteico la cui ingestione nei soggetti che soffrono di celiachia provoca diarrea cronica, perdita di peso e altri sintomi clinici, quali fatica, anemia, rash cutaneo e dolori addominali. Tuttavia, è proprio il glutine a conferire agli impasti viscosità, elasticità e coesione. In assenza di questo complesso proteico come è possibile ottenere la medesima consistenza?

«La farina di frumento viene solitamente sostituita con altre farine – spiega Susanna Neuhold –, si parla ad esempio di farina di mais, di riso o di altri cereali minori che presentano caratteristiche simili anche se, non contenendo glutine, sono un po’ meno “forti” come farine. Per questo motivo in alcuni prodotti industriali talvolta possono essere aggiunti amidi, ingredienti proteici come proteine di legumi (molto usate oggi ad esempio nella pasta), idrocolloidi e sostanze addensanti utili a creare maggiore compattezza del prodotto. Al giorno d’oggi, comunque, le etichette dei prodotti senza glutine sono molto più corte, caratteristica che il consumatore cerca sempre. Anche a casa, trovando il giusto mix di farine, è possibile ottenere prodotti molto paragonabili a quelli tradizionali».

 

PROMOSSI NUTRIZIONALMENTE?

Se dal punto di vista della consistenza e della palatabilità i prodotti gluten free sono sostanzialmente paragonabili a quelli tradizionali, com’è la situazione dal punto di vista nutrizionale? Secondo alcuni recenti studi italiani pare proprio che i prodotti senza glutine italiani siano promossi, anche se migliorabili, come tutti gli alimenti industriali, del resto.

Nel 2018, sulla rivista Digestive and Liver Disease è stato pubblicato uno studio condotto dall’Associazione Italiana Celiachia, in collaborazione con l’Università degli studi di Genova, sulla qualità dei prodotti senza glutine, che ha comparato il profilo nutrizionale di quasi 600 prodotti con e senza glutine, scelti tra le marche più diffuse e maggiormente rappresentative nel mercato italiano. Le categorie alimentari analizzate comprendevano biscotti, fette biscottate, merendine, pane, pasta secca, sostituti del pane e mix di farine.

Uno studio simile, condotto dall’Università di Udine in collaborazione con l’Università di Parma, è stato pubblicato nel 2022 sulla rivista Nutrients, dove sono riportate le differenze della composizione nutrizionale dei principali prodotti per celiaci presenti sul mercato italiano.

 

COSA È EMERSO?

In entrambi gli studi i risultati evidenziano l’esistenza di alcune differenze nella composizione nutrizionale dei prodotti senza glutine e degli analoghi convenzionali destinati alla popolazione non celiaca, ma tali differenze non sono presenti in modo sistematico, né sono tali da giustificare la demonizzazione generalizzata degli alimenti senza glutine. Il contenuto di zuccheri e grassi e l’apporto energetico sono risultati analoghi in entrambe le classi di prodotti. Anzi, addirittura la pasta senza glutine ha mostrato un contenuto di zuccheri inferiore rispetto al corrispettivo con glutine. Riguardo al contenuto di grassi saturi, nella pasta senza glutine è stato riscontrato un quantitativo più elevato, minino, anzi, assolutamente trascurabile (0.1g / 100g). I biscotti, invece, risultano in media più ricchi di grassi, che per motivi tecnologici è difficile ridurre. Vi è in molti prodotti un alto contenuto di grassi monoinsaturi e polinsaturi, mentre i grassi saturi, che vanno limitati nella dieta, risultano paragonabili a quelli dei corrispettivi prodotti contenenti glutine. Le differenze a discapito dei prodotti senza glutine relativamente al contenuto di fibra e sale non possono essere estese indiscriminatamente a tutte le categorie di alimenti per celiaci considerate, né a tutti i prodotti senza glutine presenti sul mercato. Infine, anche dal punto di vista dei micronutrienti, vitamine e sali minerali, il contenuto è equiparabile tra prodotti tradizionali e prodotti gluten free.

IL CONTENUTO PROTEICO

Tuttavia, il contenuto proteico è risultato minore nei prodotti per celiaci: questo risultato potrebbe essere spiegato dal fatto che il glutine è la principale proteina dell’alimento di base e non può essere facilmente sostituito da altre proteine alimentari. Il glutine ha un basso valore nutritivo, in quanto la sua sequenza comprende principalmente aminoacidi non essenziali, quindi questo squilibrio in una dieta senza glutine potrebbe essere facilmente corretto aumentando il consumo di altre fonti proteiche vegetali, come i legumi.

«In Italia, patria della dieta mediterranea – ricorda la dottoressa Susanna Neuhold –, siamo da sempre all’avanguardia dal punto di vista alimentare in generale, e della celiachia in particolare. Come rilevato dagli studi recentemente effettuati, i prodotti senza glutine italiani sono sostanzialmente paragonabili a quelli tradizionali. Grazie al grande investimento nell’area ricerca e sviluppo, infatti, rispetto al passato non presentano più una minor qualità nutrizionale, non necessitando più di aggiunte importanti di zucchero, grassi, o sale, come invece succede ancora in altri paesi come la Spagna, dove  è stato recentemente concluso e diffuso uno studio che presenta risultati meno rassicuranti rispetto alla nostra situazione. Il contenuto proteico, invece, è effettivamente inferiore, tuttavia, questo non è un aspetto negativo perché nella dieta occidentale che tende ad essere iper proteica avere un contenuto di proteine più basse non è un elemento necessariamente negativo. Oltretutto, non sono valori che incidono particolarmente».

 

LEGGERE BENE LE ETICHETTE!

A quante pare, dunque, bisogna sfatare il mito secondo cui una dieta senza glutine faccia ingrassare perché il quantitativo di zuccheri e grassi è pressoché paragonabile. I prodotti, naturalmente, sono tanti, e come per qualunque alimento, gluten free o meno, ne esistono di migliori e di peggiori, per questo motivo non bisogna mai dimenticarsi di leggere le etichette per saper scegliere prodotti con meno sale, meno grassi e meno zuccheri semplici, ma ricchi di fibre.

«Per scegliere i migliori prodotti gluten free, o meglio, i migliori prodotti in generale – spiega Susanna Neuhold – bisogna saper leggere bene l’etichetta nutrizionale e soprattutto non farsi abbindolare dagli slogan riportati sulle confezioni. Addirittura, su alcuni biscotti o cracker troviamo la scritta “integrale”, mentre lo studio del gruppo della professoressa Pellegrini, recentemente pubblicato, mostra che proprio questi prodotti, seppur integrali, presentino a volte meno fibre dei prodotti classici. Ovviamente la lettura dell’etichetta nutrizionale va sempre abbinata alla lettura degli ingredienti: non basta semplicemente sapere quante fibre, grassi o proteine ci siano, ma è anche importante capire da dove derivino. Va poi tenuto a mente che nessun alimento di per sé fa male, ma bisogna pensare alla dieta nella sua globalità, alla grandezza delle porzioni e alla frequenza. Non dimentichiamo di consumare anche tanti carboidrati naturalmente senza glutine come riso, patate, polenta, quinoa. I prodotti per celiaci, infatti, dovrebbero costituire il 35% del fabbisogno energetico giornaliero, il restante dovrebbe derivare da prodotti naturalmente senza glutine. Per i soggetti con patologie particolari non ci sono particolari accorgimenti da seguire nei confronti dei prodotti senza glutine, se non naturalmente prestare attenzione a quelle che sono le indicazioni alimentari e nutrizionali relative alla propria condizione, come vale per i non celiaci».

 

PERCHÈ MANGIARLI SE NON SEI CELIACO?

Per un lungo periodo c’è stata una moda insensata, ora fortunatamente in calo, secondo cui anche soggetti non celiaci avrebbero beneficiato di una dieta senza glutine.

«Il glutine è un complesso proteico che, per chi non è celiaco, non fa né bene né male», chiarisce la dottoressa Neuhold. «Non è particolarmente nobile come composizione proteica quindi se ne può fare tranquillamente a meno, esattamente come fanno i celiaci, ma non è assolutamente tossico o dannoso per chi non ha celiachia. Affermare di sentirsi meglio o di vedere migliorare le proprie performance sportive se si toglie il glutine in soggetti non celiaci non è altro che una suggestione. Certo, il glutine è un complesso proteico di non facilissima digeribilità, ma da qui a dire che si tratta di un elemento tossico che è meglio non consumare, c’è una bella differenza. Così come non è vero che i grani antichi fossero meno ricchi di glutine, successivamente addizionato per selezione genetica ai grani moderno, situazione che avrebbe portato a una maggiore esposizione con conseguente aumento della celiachia. La celiachia non è aumentata, ad aumentare, piuttosto, sono le diagnosi».

 

L’INTOLLERANZA AL GLUTINE ESISTE?

Quante volte, dopo aver mangiato una pizza, ci siamo trovati a dire: non ho digerito, forse sarò intollerante al glutine. Ha senso un’affermazione simile? Esiste l’intolleranza al glutine?

«La pizza può essere sicuramente un alimento un po’ più difficile da digerire – spiega Susanna Neuhold –, ma questo non vuol dire avere un’intolleranza particolare: semplicemente ci sono alimenti che si digeriscono più facilmente, mentre per altri ci vuole un po’ più di tempo. Parlare di intolleranza in riferimento al glutine non è molto sensato: esistono la celiachia, l’allergia al frumento e, forse, la sensibilità al frumento, che resta ancora un ambito di ricerca, ma non c’è una vera e propria intolleranza al glutine».

 

CELIACHIA E SENSIBILITÀ AL FRUMENTO

Purtroppo, i termini e la nomenclatura sono usati in modo poco corretto, cosa che crea non poca confusione. La dottoressa Neuhold ci ha aiutato a fare chiarezza.

  • La malattia celiaca è definita rigorosamente in termini clinici come “un’enteropatia infiammatoria, con tratti di auto-immunità, scatenata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti”. Quindi in clinica difficilmente si troverà in termini scientifici la celiachia definita come intolleranza al glutine. È infatti una malattia multifattoriale il cui sviluppo necessita di due fattori: il fattore ambientale (il glutine nella dieta) e il fattore genetico, non ancora esattamente individuato ma sicuramente associato ai genotipi DQ2 e DQ8 del sistema HLA – Human Leucocyte Antigens. Questi due fattori, genetico e ambientale, sono necessari, ma non sufficienti, per scatenare clinicamente la malattia. I soggetti esposti ai due fattori sopra citati svilupperanno, prima o poi, la celiachia. Restano sconosciuti gli eventi scatenanti e quando debbano verificarsi nella vita affinché la celiachia si manifesti clinicamente. Tuttavia, come correttamente riporta, nel linguaggio divulgativo e spesso anche normativo la celiachia è sovente definita anche con la locuzione intolleranza al glutine. A questo proposito, si è rilevato che è altrettanto comune dire intolleranza per significare sensibilità. Nel caso specifico del quadro delle patologie glutine-correlate, il concetto di sensibilità è riferito alla Sensibilità al frumento non-celiaca (NCGS), una volta detta sensibilità al glutine.
  • La Sensibilità al frumento non-celiaca è un quadro clinico sintomatico rientrante nel complesso spettro delle sindromi da intestino irritabile (IBS). Ad oggi non esistono biomarcatori che consentano di definire e quindi di diagnosticare questa presunta sindrome, anche se alcuni tentativi sono stati fatti tramite lo studio di diversi parametri fisiologici e biologici dopo la somministrazione (in doppio cieco) di dosi di glutine. Tuttavia, non è stata rilevata una significativa correlazione tra il glutine somministrato e i valori dei parametri misurati. Recentemente, parrebbe che un ruolo determinante nelle patologie da sindromi da intestino irritabile, inclusa la sensibilità al frumento non-celiaca , sia rivestito dai FODMAP, polioli a basso peso molecolare altamente fermentabili, ricchi sia nei cereali ma anche in numerosi tipi di vegetali, frutta e verdura. Questo concorrerebbe ad escludere una univoca correlazione tra le IBS, inclusa la NCGS, e il glutine o il grano in generale, come reale o unica causa scatenante.

 

IBS, LA DIETA SENZA GLUTINE SERVE?

Per i soggetti con sindromi da intestino irritabile, inclusa la sensibilità al frumento non-celiaca, è utile eliminare il glutine dalla propria dieta?

«Nessuna validità scientifica dimostra che la dieta senza glutine sia la terapia giusta per le sindromi da intestino irritabile e quindi anche per la Sensibilità al frumento non-celiaca – chiarisce la dottoressa Neuhold –, proprio perché i presunti agenti eziopatologici ambientali (alimentari) sembrano essere molteplici e diversi dalla semplice frazione gliadinica o glutinica alla base invece dell’insorgenza della malattia celiaca. Anzi, in generale, c’è molta controversia che le diete limitanti per i potenziali agenti scatenanti (dieta a basso tenore di FODMAP o dieta senza glutine) possano avere una reale efficacia sulla sintomatologia, che è molto diffusa e sistemica. Tuttavia, parallelamente, esiste un filone della letteratura che sosterrebbe l’idoneità della dieta senza glutine per il trattamento dei soggetti con presunta sensibilità al frumento non-celiaca, basandosi sul ruolo del microbioma, peraltro non ancora univocamente definito nelle diverse patologie in cui sembrerebbe essere coinvolto. Difatti numerosi studi stanno ancora cercando di definirne ruolo, entità ed eventuale spessore di intervento terapeutico».

PERCHÈ SONO COSTOSI?

Numerosi studi sono ancora in atto, e le conoscenze circa questo argomento sono in continua evoluzione. C’è una cosa, però, sulla quale siamo tutti d’accordo: i prodotti senza glutine sono piuttosto costosi. Perché?

«Per ottenere prodotti sempre più gustosi, della giusta consistenza e validi nutrizionalmente – conclude la dottoressa Susanna Neuhold –, molte risorse sono state investite per mettere a punto nuove tecnologie il cui costo, naturalmente, ricade sul prodotto finito. Si utilizzano spesso cereali alternativi più costosi come la quinoa, che spesso provengono da zone lontane. Un elemento su cui, infatti, si potrebbe lavorare per migliorare, infatti, potrebbe essere l’impatto ambientale più che quello nutrizionale, già buono, almeno in Italia. Sostanzialmente si tratta di prodotti di nicchia realizzati in piccola scala perché consumati da pochi. Non dimentichiamo infatti che si tratta di un mercato molto piccolo: in Italia solamente l’1% della popolazione è celiaca, pari a 600.000 persone, di cui solamente 250.000 circa diagnosticate. Non potendo beneficiare delle economie di scala di cui godono gli alimenti tradizionali come il pane o la pasta, questi prodotti hanno un costo sensibilmente maggiore degli analoghi convenzionali, in tutto il mondo. Fortunatamente, anche grazie all’Associazione Italiana Celiachi (AIC), in Italia i celiaci sono aiutati dal Sistema Sanitario Nazionale per l’acquisto di questi alimenti».

 

Fonte: www.fondazioneveronesi.it