Sintesi dei ricercatori della McMaster University (Hamilton, Canada), di 65 studi pubblicati tra il 1978 e il 2019, per un totale di 13.6 milioni di partecipanti di tutte le età

Malattie diverse, nell’origine più che nei sintomi (spesso sovrapponibili) e nei numeri (in crescita). Ma più «vicine» di quanto si pensi. La celiachia e le malattie infiammatorie croniche intestinali (Crohn e rettocolite ulcerosa) possono manifestarsi nelle stesse persone con una discreta frequenza, rispetto a quella considerata finora. Difficile dire con precisione perché, considerando che l’origine delle due condizioni di natura infiammatoria è tutt’altro che ben definita. Ma essere consapevoli della possibile correlazione è un aspetto chiave, per evitare diagnosi tardive e di conseguenza terapie meno efficaci. Sono soprattutto i celiaci – sulla carta – più a rischio di sviluppare la malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa. Ma il «passaggio» può avvenire comunque anche lungo la direttrice opposta.

Malattie infiammatorie intestinali e celiachia possono viaggiare a braccetto

A fare luce sulla stretta vicinanza di queste condizioni, è un’ampia revisione di studi pubblicata sulla rivista «Gastroenterology». A firmarla, un gruppo di ricercatori della McMaster University (Hamilton, Canada), che ha passato in rassegna le conclusioni di 65 studi pubblicati tra il 1978 e il 2019, per un totale di 13.6 milioni di partecipanti di tutte le età (43mila celiaci, 166mila pazienti con una malattia infiammatoria cronica intestinale e 13.4 milioni di controlli sani). La sintesi li ha portati a concludere che i celiaci, rispetto alle persone sane, convivono con un rischio nove volte più elevato di ammalarsi di Crohn o di rettocolite ulcerosa. Stesso discorso a parti invertite, seppur con minore frequenza: come da ipotesi già anticipata in un’altra review, pubblicata nei mesi scorsi da gastroenterologi e psicologi australiani sul «Journal of Clinical Gastronterology». «Abbiamo sempre sospettato che ci fosse questa possibilità, anche se non era mai stata stabilita un’associazione chiara e forte nei numeri», afferma la gastroenterologa Maria Ines Pinto-Sanchez, prima firma della pubblicazione.

Quali punti di contatto?

Le tre condizioni – le due malattie infiammatorie e la celiachia – colpiscono l’intestino e hanno un decorso cronico. Sono, cioè, curabili: il Crohn e la rettocolite ulcerosa con diversi farmaci (o con un intervento, nei casi più gravi), la celiachia escludendo tutti gli alimenti e i piatti contenenti glutine dalla dieta. Ma non guaribili. Ad accomunarle anche il trend di crescita registrato negli ultimi anni. Mentre ancora poco chiare sono le informazioni riguardanti le loro cause.

Della celiachia si sa con certezza che a provocarla è l’ingestione del glutine, un complesso proteico rilevabile in diversi cereali (frumento, farro, segale e orzo) che, nelle persone geneticamente predisposte, determina una risposta immunitaria eccessiva che danneggia la mucosa dell’intestino.

Molto meno chiari sono invece i meccanismi alla base della malattia di Crohn e della rettocolite ulcerosa. In entrambi i casi, come nella celiachia, si sospetta il ruolo di alcuni fattori genetici che, sulla base di quanto osservato, potrebbero essere anche gli stessi. Nel passaggio dalla celiachia a una malattia infiammatoria intestinale, più frequente, un ruolo potrebbe averlo proprio il consumo di glutine, soprattutto in quei casi in cui la diagnosi avviene ritardo e (nel frattempo) si continuano a portare a tavola pietanze che lo contengono. Con una conseguenza: il protrarsi di un’infiammazione che nel tempo potrebbe «innescare» l’insorgenza del Crohn o della rettocolite ulcerosa. Un aspetto che spiegherebbe perché è più frequente il passaggio dalla celiachia a una di queste condizioni, rispetto al contrario.

Screening: sì o no? 

Al di là della conoscenza, il lavoro canadese solleva un’altra questione: è necessario procedere allo screening, nel momento in cui si ha di fronte un paziente celiaco o con una malattia infiammatoria intestinale? «L’associazione c’è ed è forte, ma al momento non è ancora quanto sia opportuno procedere nella direzione dello screening», affermano i ricercatori. Il punto però è cruciale, poiché «la mancata diagnosi di una o dell’altra condizione potrebbe compromettere la risposta alle terapie», conclude Pinto-Sanchez.

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Fonte: www.lastampa.it