La celiachia è una malattia sottostimata che ancora oggi espone chi ne è affetto a disagi importanti. Di che cosa si tratta lo spiega Silvio Danese, direttore di Gastroenterologia ed endoscopia digestiva all’Ospedale San Raffaele

«Niente zuppa di farro per me, la adoro ma mi dà malessere». «La crêpe a colazione? Solo se preparata senza latte. Sono diventato intollerante al lattosio». Che si mangi a casa o si esca al ristorante, non esiste piatto che prima o dopo non implichi almeno un «ma». E che, seppure gustoso per non dire gourmet, non richieda una accurata check list degli ingredienti che lo compongono perché i fastidi a tavola sono (spesso) dietro l’angolo.
«Mai come oggi cucinare finisce col diventare un dribbling tra alimenti consentiti, possibili e assolutamente da evitare», spiega Silvio Danese, professore ordinario di Gastroenterologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, direttore di Gastroenterologia ed endoscopia digestiva all’Ospedale San Raffaele e autore del libro La pancia lo sa. Interpretare i messaggi di stomaco e intestino per vivere meglio (Collana Scienze per la vita, Sonzogno).
«Motivo per cui — continua Danese — l’attenzione a tavola deve essere alta: il rischio è quello di incappare in qualche cosa che può nuocere all’organismo. E passare la notte a grattarsi oppure in bagno o persino al pronto soccorso. Cosa che capita con maggiore frequenza».
Secondo il Ministero della Salute, infatti, sono poco meno di due milioni gli italiani che soffrono di allergia alimentare. Più di un milione gli intolleranti al lattosio, quasi tre milioni quelli al glutine. «Poi ci sono i celiaci che fanno storia a sé».

 

Ma esattamente che cos’è la celiachia?

«È la cronica intolleranza al cuore del grano. In altre parole si tratta di una patologia infiammatoria immunomediata del piccolo intestino causata da una alterata risposta immunologica al glutine in persone geneticamente predisposte — argomenta Danese —. Il glutine è un complesso proteico tipico di alcuni cereali, come ad esempio il frumento, il farro e la segale, caratterizzato dall’essere insolubile in ambiente acquoso».

 

Professore, lei ha parlato di persone geneticamente predisposte. Che cosa significa?

«Significa che la celiachia non è una malattia propriamente ereditaria, ma familiare sì nel senso che se un soggetto è celiaco, il 10 per cento dei familiari ne sarà affetto.
Aggiungo, inoltre, che non si nasce celiaci. Torno a dire: si ha una predisposizione genetica, mentre la celiachia vera e propria si manifesta quando si entra in contatto con il glutine. Più semplicemente, nel momento in cui il soggetto geneticamente predisposto entra in contatto con il glutine si crea una risposta immunologica che crea lesioni intestinali. Al momento, però, non ci è dato di sapere quanto tempo serva perché la reazione immunologica porti alle lesioni intestinali da quando si entra in contatto con il glutine».

 

Nel caso, quali sono i sintomi?

«La celiachia può tipicamente presentarsi con sintomi di malassorbimento come per esempio diarrea, perdita di peso e deficit di assorbimento di alcune vitamine. Spesso, però, la malattia celiaca può essere del tutto asintomatica, con disturbi che vengono confusi con la sindrome del colon irritabile (per intenderci con alvo alterno che è un disturbo della defecazione, dolori addominali ricorrenti e sensazione di gonfiore). Inoltre possono essere presenti delle manifestazioni non a carico dell’apparato digerente come per esempio sintomi neurologici oppure alterazione degli enzimi epatici, anemia ma anche manifestazioni cutanee tra cui la dermatite erpetiforme o alterazioni articolari come osteoporosi o artrite».

 

Intolleranza e sensibilità al glutine sono la stessa cosa?

«Di recente è stata descritta una nuova patologia definita gluten sensitivity che descrive una sindrome caratterizzata da risposta anomala all’ingestione del glutine in pazienti che non hanno sierologia o evidenza istologica di celiachia. In questo caso i sintomi più comuni sono dolori addominali ricorrenti, gonfiore e irregolarità intestinale».

 

Si convivere con la celiachia? In che modo?

« La celiachia è una malattia per cui, a oggi, non esiste una cura, sempre che non si riesca a eliminare del tutto il glutine dalla propria alimentazione. In caso di celiachia, è importante che questo cambio di stile di vita sia drastico dal momento che la contaminazione rischia di reinnestare la reazione immunologica tipica della malattia».

 

Come dobbiamo comportarci a tavola?

«In realtà un celiaco può concedersi qualsiasi alimento. La cosa importante è avere la certezza che in questi alimenti non vi sia traccia di glutine. Capita, infatti, che in numerosi preparati il glutine si trovi come additivo e addensante. La cosa fondamentale è essere molto attenti».
Attenzione particolarea cioccolato e torte ma anche a sughi, polpette e polpettoni. Il glutine si trova poi in frumento, farro, kamut, orzo, segale, triticale e spelta e nei loro derivati, come il malto e il seitan, la cosiddetta bistecca vegana. Manca, invece, nel riso e nel mais, nell’avena e nel grano saraceno, che però finiscono spesso per essere contaminati. «Nel qual caso — conclude Danese — il rischio è quello di incappare in nausea, stanchezza cronica, mal di testa, dolori muscolari e di avere quella sensazione di addome gonfio che noi medici definiamo “discomfort”, sintomi comuni della sensibilità al glutine».

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