Celiachia, il presidente dell’Aic Giuseppe di Fabio interviene sull’importanza di una diagnosi per quanti presentano sintomi non subito riconducibili alla patologia

I pazienti “celiaci-camaleonte”, presentano sintomi diversi da quelli gastrointestinali che sono i più caratteristici di questa malattia, riuscire a formulare una diagnosi certa anche per loro è uno degli obiettivi prioritari dell’Associazione italiana celiachia (Aic), che in questo mese di aprile celebra il quarantennale da quando fui istituita, nel lontano 1979.

«Diagnosticare precocemente le persone che non sanno di essere celiache è estremamente importante, – afferma il presidente dell’Aic Giuseppe Di Fabio – se è vero che almeno un italiano su 100 è affetto da celiachia, allora ci sono ancora 400mila italiani non diagnosticati; si stima che oggi passino mediamente sei anni prima che venga riconosciuta la causa del malessere avvertito dal celiaco».

Il presidente riferisce che, ai tempi in cui è nata l’associazione, le diagnosi erano soprattutto quelle pediatriche, formulate in bambini con l’addome gonfio, sottopeso e con difficoltà di crescita. Con il passare del tempo si è però visto che la celiachia è responsabile di una serie di sintomi molto diversi tra loro, come l’infertilità femminile, una anomala occorrenza di aborti, problemi alla tiroide e molto altro.

«Occorre dunque che i medici di famiglia sappiano intercettare certi quadri clinici che non trovano una spiegazione univoca e che potrebbero far pensare alla celiachia. Per questo – continua Di Fabio – l’Aic, nel corso di quest’anno, si impegna a portare in ogni capoluogo di Regione un convegno medico accreditato Ecm per il personale sanitario, allo scopo di divulgare le linee guida ministeriali per la diagnosi di celiachia e per sensibilizzare, soprattutto coloro che operano nella medicina generale, nei confronti di questa malattia che si nasconde in forme non sempre facili da riconoscere».

Com’è noto, la celiachia non ha una cura farmacologica e l’unica terapia consiste nell’alimentazione; l’Associazione si propone dunque di migliorare l’assistenza facilitando ai pazienti l’acquisto dei prodotti alimentari senza glutine. «Oggi sono sette le Regioni che hanno adottato un modello digitale con buoni elettronici utilizzabili nelle farmacie, nei negozi specializzati e nella grande distribuzione. Noi ci stiamo battendo – conclude Di Fabio – perché la dematerializzazione, più comoda per il paziente e fonte di risparmio per le amministrazioni, venga estesa in tutta Italia e che i pazienti possano acquistare i prodotti senza glutine anche al di fuori della Regione di residenza».

 

Fonte: www.farmacista33.it