La maggior parte dei pazienti che si rivolgono all’ambulatorio dedicato presso la Fondazione Policlinico A. Gemelli di Roma convinti di essere celiaci sarebbe in realtà affetta da sindrome del colon irritabile, e circa il 20% portatore, senza saperlo, di allergia al grano “che non ha nulla a che vedere con la celiachia”, evidenziano gli esperti del Gemelli. Domani workshop sul tema al Presidio Columbus della Fondazione Gemelli.

“Tra tutti i pazienti che si rivolgono all’ambulatorio dedicato presso la Fondazione Policlinico A. Gemelli di Roma, convinti di essere celiaci, la maggior parte è in realtà affetta da sindrome del colon irritabile e circa il 20% è portatore, senza saperlo, di allergia al grano che non ha nulla a che vedere con la celiachia e che invece è una allergia a proteine del grano diverse dal glutine”.

È quanto emerge da una indagine curata dal professor Italo De Vitis, UOC Medicina Interna e Gastroenterologia, Responsabile UOS Patologie dell’assorbimento intestinale, Area Gastroenterologia, Polo delle Scienze Gastroenterologiche ed Endocrino-Metaboliche Fondazione Policlinico Universitario Gemelli presso il Presidio Columbus e ci sui si parlerà in occasione del workshop “Il grano: alimento amico o subdolo nemico” in programma domani, 7 ottobre, nella  Sala Cabrini (Via Moscati 13, ore 9.00).

Tra le principali finalità del workshop è fornire agli addetti ai lavori le basi per le diagnosi di tutte le patologie grano/glutine correlate: celiachia, allergia al grano/gastroenterite eosinofila e gluten sensitivity, che sono tre distinte patologie.

“La celiachia è una malattia autoimmune (in cui il sistema immunitario attacca le pareti dell’intestino) scatenata da reazione impropria al glutine, che è la principale proteina del grano. Ne soffre l’1% degli italiani”, spiega il Gemelli in una nota che anticipa i temi che saranno trattati all’incontro. “Prima considerata malattia rara, proprio per questi numeri (una persona su 100) con la elaborazione dei nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), la celiachia è approdata nella categoria di malattia cronica invalidante”.

Il percorso diagnostico della celiachia, evidenziano gli esperti del Gemelli, “è ancora irto di ostacoli. Infatti, nonostante le numerose iniziative volte a divulgare le modalità per giungere correttamente alla diagnosi e per tentare di omologare quanto più possibile la prassi che i medici dovrebbe adottare, esistono ancora incertezze e perplessità nel percorso diagnostico della malattia celiaca”.

“Questo contesto è poi aggravato dal fatto che da tante parti il glutine viene ingiustamente demonizzato – afferma il professor De Vitis -, portando a troppe autodiagnosi di celiachia che poi sono di frequente sbagliate e che limitano gravemente l’ulteriore iter diagnostico. Occorre seguire le direttive scientifiche riprese in toto dal Ministero della Salute e diramate a tutti gli addetti ai lavori, ma che pochi conoscono e applicano”.

La vera sensibilità al glutine non celiaca, la cosiddetta gluten sensitivity, sarebbe molto meno frequente di quanto si creda. “I primi dati disponibili sulla gluten  sensitivity  relativi a  circa  il 6% si basano su studi  epidemiologici  eseguiti  negli  USA, ma non vi sono ancora evidenze scientifiche in merito. Con gli studi fatti in Italia (studio epidemiologico  multicentrico coordinato dall’Università  di Bologna) si scende intorno all’1% della popolazione  che lamenta disturbi (soggettivi) dopo aver mangiato grano. Ma al momento non ci sono dati certi”, spiega la nota del Gemelli.

“Dal nostro studio (che ha riguardato oltre 400 persone che sono giunte all’ambulatorio di Patologie dell’assorbimento intestinale del Presidio Columbus-Gemelli nel 2016 e che è in corso  di verifica  su  più larga) – prosegue il professor De Vitis – è emerso anche che il 25-30% delle richieste di visita sono per presunta sensibilità al glutine, e che quasi tutti questi pazienti ricadono invece nella diagnosi di intestino ‘irritabile’, che nulla ha a che vedere con il consumo di grano. Ma dai nostri dati preliminari quasi 1/5 di questi presunti sensibili al glutine (circa il 19%) – esclusa con certezza la celiachia – potrebbero nascondere altre condizioni immunologiche ancor oggi poco note sebbene scientificamente provate come le allergie alle altre proteine del grano”.

Questo tipo di allergie avrebbero una prevalenza dello 0,5% (in base a studi epidemiologici effettuati negli USA) ma potrebbero essere ancora sottostimate perché poco ricercate.

Oggi è possibile fare una diagnosi certa di celiachia, ma occorre seguire scrupolosamente gli algoritmi che la scienza e il Ministero mettono a disposizione di tutti i medici – ribadisce De Vitis – ; è preferibile per una maggiore utilizzazione di mezzi e di risorse umane che la diagnosi rimanga appannaggio di centri di eccellenza (i cosiddetti centri di riferimento) perché dietro la presunta diagnosi (spesso auto-posta) di gluten sensitivity (che porta come conseguenza a una autoprescrizione di dieta senza glutine, che impedisce poi una diagnosi certa di malattia celiaca) si possono nascondere altre patologie che è necessario evidenziare e non mimetizzare”.

Le “Raccomandazioni” per evitare il fai-da-te e fare attenzione alle false diagnosi
“Innanzitutto – spiega la nota del Gemelli – mai mettersi a dieta spontaneamente senza prima aver consultato medici esperti e affrontato i test necessari e appropriati per giungere alla diagnosi. Se si ha un sospetto di celiachia, rivolgersi al presidio di rete per la diagnosi della celiachia della ASL. Se di fronte a un sospetto di patologia glutine correlata, i test della celiachia sono negativi, il medico deve approfondire il quadro clinico con ulteriori accertamenti e se ha dei dubbi deve inviare il paziente a un centro esperto, in particolare per effettuare quegli esami allergologici che permettano di evidenziare o escludere una allergia alle altre proteine del grano. E’ utile ricordate che solo se si risulta negativi sia in primis per la celiachia che successivamente all’allergia ad altre proteine del grano, si può ragionevolmente supporre la presenza della cosiddetta gluten sensitivity”.

Fonte: www.quotidianosanita.it