Drastico aumento dei casi di celiachia. In trent’anni i numeri sono cambiati in modo vertiginoso. Si è passati da un caso ogni 2mila persone a uno su 150. Cifre che sono figlie di due ragioni: maggiore facilità nella diagnosi della malattia e cambiamento dello stile di vita. Nel frattempo però è mutata anche la malattia. Trent’anni fa era soprattutto pediatrica e riguardava tra i 3 e i 5mila italiani, tanto da essere considerata rara. Oggi è il contrario. L’incidenza si aggira tra lo 0,5 e l’1,5% per cento, quindi un individuo ogni 150. I più colpiti sono i bambini tra i 4 e gli 8 anni e gli adulti tra i 25 e i 35 anni. In età pediatrica si manifesta il 30% dei casi, il restante 70% si palesa in età adulta. La malattia colpisce prevalentemente il sesso femminile, con un rapporto 3/1.

Oltre 550 specialisti, tra gastroenterologi, internisti, biologi, nutrizionisti, dietisti, psicologi e infermieri e operatori sanitari hanno partecipato all’Università degli Studi di Milano al convegno “Celiachia e altri disordini Glutine Correlati: Update 2020”. Convegno sotto la direzione del professor Maurizio Vecchi docente di gastroenterologia all’Università di Milano e del Luca Elli, resposabile Centro Celiachia, Fondazione Irccs Cà-Granda di Milano.

“Le ragioni per cui, negli ultimi trent’anni, è avvenuto tale cambiamento sono principalmente due – spiega Luca Elli – In primis oggi è molto più semplice diagnosticare la celiachia, facendo facilmente emergere il sommerso. Inoltre, secondo punto, esiste una tendenza reale all’aumento di questa patologia autoimmune, dovuto a molteplici cause, molte ancora teoriche. Ad esempio il cambiamento nella coltivazione degli alimenti, molto più intensiva e fertilizzata, lo stile di vita, l’uso di antibiotici anche nell’età pediatrica, il controllo su alcune malattie infettive”.

“I numeri dei celiaci parlano da soli: 600mila i casi evidenziati dagli screening, pazienti in cospicuo aumento e sommerso in costante impennata – sottolinea Maurizio Vecchi, direttore del convegno e direttore dell’Unità operativa di Gastroenterologia del Policlinico di Milano – Sono infatti oltre 400mila i pazienti che oggi rappresentano la porzione nascosta di questa malattia autoimmune “accesa” dal glutine e segnata da difficoltà diagnostiche. Un quadro che la scienza sta modificando: sia per la definizione precoce della patologia, sia per il controllo della stessa”.

Durante l’ultimo congresso internazionale della Celiachia a Parigi dello scorso settembre 2019, è stato annunciato l’interruzione della ricerca sul vaccino: l’idea di sconfiggere e eradicare definitivamente la malattia, è quindi tramontata. “La tendenza che probabilmente potrà verificarsi, invece, si riferisce ad una terapia sempre più personalizzata in favore dei pazienti – prosegue Luca Elli – Questi potranno reintegrare nella loro dieta alcuni alimenti con glutine. Nei prossimi anni, infine, arriveranno anche delle molecole che aiuteranno il paziente a convivere con la malattia”.

Che l’aderenza alla dieta priva di glutine rappresenti un ostacolo nella gestione della malattia da parte del paziente è ben concepibile. Tant’è che, fino ad oggi, ha rappresentato uno scoglio anche per i clinici. Ora però gli specialisti hanno a disposizione un nuovo strumento: un test che è in grado di indicare il livello di detezione del peptide del glutine nelle urine e nelle feci dei pazienti. Uno strumento che permette il monitoraggio reale e costante della malattia, apportando laddove necessario le giuste correzioni.

“Grazie a questi test – conclude Luca Elli – è possibile capire se si stia mangiando in maniera occulta qualunque alimento con glutine e se questi possono essere eventuali cause dei sintomi che potrebbe provocare. Allo stato attuale non abbiamo dati riguardanti la situazione italiana, il primo trial è attualmente in corso. Eppure, secondo studi internazionali, circa il 20% del campione mangia occultamente qualche alimento con il glutine senza saperlo”.

 

Fonte: corrieredellumbria.corr.it