Le intolleranze alimentari sono sempre più diffuse: secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, circa l’8% dei bambini e il 2% della popolazione adulta soffre di “reazioni avverse ad uno o più cibi” che si manifestano con sintomi gastrointestinali: dolori addominali, crampi, diarrea, vomito. Un fenomeno in crescita in tutto il mondo che ha portato molti supermercati, bar e ristoranti ad attrezzarsi con un’offerta per diete specifiche, gluten-free o senza lattosio.
Il tema delle intolleranze è stato protagonista di una sessione di NutriMI – VIII Forum di Nutrizione Pratica. «I numeri delle intolleranze stanno crescendo sensibilmente: oggi 7 italiani su 10 non digeriscono il lattosio, mentre un italiano su cento soffre di celiachia». Alla diffusione del glutine nell’alimentazione umana corrisponde l’ampia prevalenza di disturbi indotti dal glutine in ambito clinico: la celiachia, l’allergia al grano e la sensibilità al glutine. «Negli anni più recenti quest’ultima condizione ha attirato l’interesse in ambito medico – ha spiegato Carlo Catassi, docente di pediatria all’Università Politecnica delle Marche di Ancona -. Oggi sappiamo che la sensibilità al glutine si manifesta con sintomi intestinali o extra-intestinali ma, a differenza della celiachia, può essere transitoria».
Quanto al lattosio, oltre alla predisposizione genetica, a condizionare il deficit della lattasi – l’enzima deputato alla digestione dello zucchero – sono alcune malattie infiammatorie croniche intestinali (celiachia, morbo di Chron), infezioni batteriche o virali, trattamenti farmacologici. «In questo ambito oggi sono disponibili specifiche e mirate analisi di profili di suscettibilità genetica che consentono una effettiva personalizzazione dell’impostazione terapeutica e nutrizionale – ha dichiarato Damiano Galimberti, coordinatore della Società Italiana di Nutrigenomica ed Epigenetica -. La letteratura scientifica più recente ha evidenziato come il test genetico per l’intolleranza al lattosio abbia una attendibilità scientifica altissima e possa essere sostituito al tradizionale e più complesso breath test per la diagnosi di ipolattasia primaria».